mercoledì 23 ottobre 2019




QUELLO CHE NON HO… È UNA CAMICIA BIANCA
Stava gustando intensamente gli aromi di una miscela di Virginia Burley e Kentucky che aveva composto pochi giorni prima, curioso di sperimentare nuove sensazioni. Aspirava da una vecchia Royal Dutch, una splendida pipa di radica, fornello basso e tondo e bocchino corto e ricurvo che teneva, tra le sue preferite, per i momenti di assoluto relax. Nell’aria la voce del vecchio Bo Diddley e il suono della sua mitica Cigar box.

Per evitare fastidiose interruzioni del rito aveva lasciato lo smartphone nel corridoio, lontano dalla poltrona nella quale era sprofondato. Per questo non aveva sentito il segnale del messaggio e erano trascorse alcune decine di minuti prima che ne vedesse l’icona e ne leggesse il contenuto. Laconico: “Devo parlarti con una certa urgenza”. Due particolari lo avevano subito colpito: il contenuto un po’ ansioso e ansiogeno ma soprattutto il fatto che il mittente fosse un collega molto noto, un Maestro, che aveva incontrato poche volte, con il quale aveva scambiato solo rare battute o poco più di un saluto a margine di performances o workshop. Si sentì lusingato per l’implicita confidenza e curioso di conoscere i motivi della sottolineata urgenza.
Cercò il suo nome nella rubrica e lo richiamò.
- Domattina devo tenere un team building percussivo in una grossa azienda di Milano. Non me la sento di farlo da solo, ma il mio socio abituale, lo ricordi, vero? Si è ammalato, potresti sostituirlo? Lo so… all'ultimo momento … non voglio metterti in difficoltà.
- Io… mah… non so se sono in grado…
- Non dire sciocchezze! Sei molto bravo. Ti ho visto all’opera, come interagisci, la tua energia… non ho dubbi! Mi farai fare un’ottima figura. Domattina ore 7.00 al binario 1. Camicia bianca con papillon e pantaloni neri, ça va sans dire. Ah! Naturalmente scarpe, non i soliti ciabattoni, lo so che ti chiedo un grosso sacrificio, ma qui siamo al top!
Un attimo di silenzio.
- Va bene, ti ringrazio per la fiducia. E gli strumenti?
- Li ho già fatti recapitare sul posto e collocati nella sala, non preoccuparti, li troveremo pronti all’uso. A domani!

Asciutto, diretto e, in qualche modo, perentorio: i primi due aggettivi li trovò consoni al suo immaginario, il terzo, sinceramente, un po’ fastidioso. Ma, tant'è, l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Non era il caso di essere troppo suscettibili.
Cominciò a far mente locale sull'abbigliamento, ma l’immagine di sé in abito elegante lo fece sorridere: non indossava abiti civili da un secolo, solo tute da lavoro, maglie e magliette stinte.
Dunque… i pantaloni neri… facile! Ne aveva acquistato un paio l’anno prima per partecipare ad una pièce di teatro sperimentale con musica e danza, stressato da un amico che lo voleva a tutti i costi sul palco. Aveva interpretato la parte di un intellettuale parigino della Rive gauche con tanto di dolcevita, anch’essa nera. Come aveva richiesto la sua parte consisteva in monosillabi e gesti. Non amava la sua voce e soprattutto la pronuncia fortemente segnata da inflessioni dialettali.
- Pantaloni a posto! - pensò – sono qui, nella casa in città. E il papillon?
Ah, sì, quello l’aveva conservato dai tempi nei quali aveva fatto il cameriere al Grand Hotel sul lago.
- Insieme alla piccola cravatta ci dev’essere una camicia bianca!
Salì sull’auto e si diresse verso la casa dei genitori, quaranta chilometri a sud est. La mamma aveva sicuramente custodito l’abito delle sue esperienze giovanili nella ristorazione.
Il traffico era scorrevole e giunse a destinazione abbastanza in fretta. Suonò il campanello, più volte, ma nessuno rispose.
- Maledizione! Proprio oggi!
Si sedette, deluso, frustrato, sul muretto e gli venne una tale rabbia in corpo che avrebbe pianto se non gli fosse balenato un ricordo: suo padre nascondeva un paio di chiavi in un buco del muro di cinta tappato con un sasso, sul retro del giardino, per le emergenze. E questa lo era, senza dubbio. Bravo papà!
Trovò il mazzo delle chiavi e finalmente riuscì ad entrare. Nella cameretta che aveva occupato prima di traferirsi in città c’era ancora il suo armadio. In un cassetto trovò il papillon e, come previsto, anche la camicia bianca. Gli bastò un’occhiata per rendersi conto che gli sarebbe andata a pennello una ventina di chili prima. Infatti le braccia entravano a fatica nelle maniche, il collo era stretto e bottoni e asole rimanevano distanti almeno una decina di centimetri.
Era necessario inventarsi qualcosa. Il pomeriggio avanzato richiedeva soluzioni rapide.
Considerato che si trovava al paese telefonò a un suo caro amico, che abitava in campagna a un paio di chilometri dall’abitato.
- Certamente! Vieni qui, ho una bella camicia bianca, l’ho comprata per andare a nozze di mio cugino.
- Grazie!
Via di corsa sulla strada sterrata che portava alla fattoria.
Quella del suo amico era davvero una bellissima camicia, ma tra asole e bottoni, anche in questo caso, c’era incomunicabilità.
- Mi spiace, è l’unica che ho… te l’avrei prestata volentieri. In effetti ti sei irrobustito mica male negli ultimi anni!
Che fare a questo punto? Erano già le sei di sera e non aveva ancora risolto il problema.
Avrebbe potuto acquistarla nel negozio lì in paese ma sapeva, per sentito dire della madre e della sorella, che i prezzi erano piuttosto alti.
- Nel mio spazio della moda tengo solo capi di una certa classe, quelli dozzinali li potete comprare anche sul mercato o nei supermercati cinesi, pare abbia detto in più di un’occasione la signora Delia.
Gli spiaceva investire tanto denaro per una camicia bianca che non avrebbe più indossato in seguito, forse.
Risalito sull'auto, la diresse perciò verso il paese vicino dove c’era un negozio, quasi un centro commerciale, gestito appunto da cinesi. Trovò la camicia della sua misura e la pagò pochi soldi, come previsto. Poteva, tuttavia, presentarsi con tutte quelle pieghe della confezione?
Doveva essere stirata. Sua madre non era ancora tornata, non sapeva dove mettesse il ferro da stiro per far da sé e dunque si ripresentò alla porta della fattoria.
- Dovrei chiedere un favore alla tua mamma… se può prestarmi il ferro da stiro…
La signora fu felice di rendersi utile stirando lei stessa la camicia e volle che fermasse anche a cena.
- Sono le sette e mezza, ormai, dove vai a quest’ora? Prima che arrivi in città è già ora di andare a letto!
Tornò in città, felice per aver risolto il problema e per la cena squisita.
Il mattino seguente, puntuale, incontrò il Maestro sulla banchina del binario e presero il treno veloce per Milano. Il taxi li portò alla sede dell’azienda. Un palazzo di vetro e acciaio imponente nello skyline della metropoli. Al quindicesimo piano li accolse una segretaria gentilissima, ma assertiva. Occhiali a occhi di gatto di tartaruga, tailleur nero, camicetta bianca con il collo alto e il papillon. Notò con sorpresa che indossava un paio di ballerine di vernice, anziché i soliti tacchi a spillo.
Li accompagnò in una saletta.
- Vi prego di attendere qui. I dipendenti interessati al vostro incontro stanno salendo alla spicciolata, quando saremo tutti pronti verrò a chiamarvi.
Appena la porta si chiuse dietro quella nuvola di J’adore, si tolsero le giacche e iniziarono a controllare, in uno specchio grande come la parete, che la camicia non si fosse stazzonata durante il viaggio e a ripristinare la simmetria del papillon con il collo.
Dopo qualche minuto la segretaria rientrò con un busta di carta.
- Siamo quasi pronti. Intanto, per favore, toglietevi le camicie e indossate le magliette con il logo dell’azienda.
Prima di scomparire nuovamente dietro la porta, si voltò con un sorriso.
- Grazie, vi aspetto nel salone.