ANTEPRIMA DEL MIO NUOVO LAVORO
Pubblico qui un estratto del nuovo romanzo.
Non so come definirlo.
Giallo mi sembra eccessivo, anche se contiene la narrazione di un delitto.
Storico potrebbe essere perché collocato in un tempo abbastanza lontano, il secondo dopoguerra e racconta, sotto mentite spoglie, fatti accaduti realmente.
Beatrice lo definisce antropogiallo storico. Forse ha ragione lei, ma non ha molta importanza , la definizione. Mi sono divertito a scriverlo e il gruppo dei lettori che mi permetto di usare per controllo hanno gradito, alcuni con entusiasmo.
L'alba matura e il suo
cielo livido
Mancava mezz’ora alle sei del
mattino di mercoledì 28 agosto 1946.
Ceschino amava quel momento
dell’alba matura, prima che la luce inondasse il cielo dietro le colline, quel
cielo bianco a est e livido ad occidente era emozionante, come una sorpresa.
Viveva le sue giornate come avventure sempre nuove, curioso di ogni cosa,
felice di ogni nuova scoperta e per questo in famiglia lo ritenevano un po’
svampito, con la testa fra le nuvole. Invece era molto attento ai particolari,
alle sfumature, ai dettagli, sia delle persone sia degli ambienti.
Il parroco lo attendeva per
servire la Messa. Quel ruolo di chierichetto lo faceva sentire importante,
anche perché Don Luigi lo trattava con rispetto, gli parlava dei libri che
leggeva, gli raccontava fatti storici, molto spesso del Risorgimento, di
Garibaldi che Ceschino considerava un grande Eroe, anche se Don Luigi non ne
parlava sempre bene.
Talvolta ricordava la sua
prima volta alla Messa. Il suo amico Eugenio si era ammalato e lui, che aveva
ormai promesso la sua presenza, si era ritrovato in veste nera e cotta con il
campanellino in mano. Don Luigi, prima di iniziare a celebrare si era volto
verso di lui con uno sguardo interrogativo che non aveva saputo interpretare,
poi il sacerdote gli aveva fatto il gesto come di agitare il campanello e lui
lo fece. Bello quel suono argentino che risuonava dentro le alte volte del
tempio!
Le preghiere e le invocazioni
in quella misteriosa lingua, il latino, misero Ceschino in agitazione: quando
avrebbe dovuto suonare ancora il campanello? Quando versare il vino e l’acqua
al celebrante? Anche se i fedeli erano pochi, una decina di donne e la metà di
uomini, non voleva far brutta figura con il prete e magari essere estromesso
dal novero dei chierichetti. Una tensione altissima e il massimo della
concentrazione gli consentirono di intuire le sequenze attraverso i gesti del
prete e suoi sguardi tra il perplesso e lo spazientito, specialmente quando
agitava il campanello fuori tempo.
Dopo lo Ite Missa est
Don Luigi lo aveva chiamato al bancone della sacrestia.
- È la prima volta, vero, che
servi la Messa? Il tuo amico non ti ha spiegato nulla?
Ceschino, lo sguardo fisso
alle scarpe del sacerdote, era arrossito e due lacrimoni gli erano scesi sulle
guance.
- Non preoccuparti, imparerai
presto e sarai più bravo degli altri! Ora vai a suonare la campana per
annunciare la Messa seguente.
Il bambino era corso via
sotto il campanile e secondo le istruzioni di Eugenio, in questo caso precise,
con un salto si appese alla corda centrale e tirò verso il basso. Non lasciò la
corda e si sentì sollevare da terra: le vibrazioni della campana e la piacevole
altalena gli fecero presto dimenticare la brutta figura.
Per arrivare alla chiesa
doveva attraversare la metà occidentale del paese, da mezzogiorno a
settentrione. Il primo tratto, in parte sterrato e in parte a ciottoli di fiume,
passava davanti alla vecchia fornace, si snodava tra due ville padronali, un
allevamento di polli e una cantina il cui proprietario era detto Paciüga
(pasticcia) per una sua presunta abitudine di allungare il vino con l’acqua del
pozzo e in seguito aggiustarlo con le polverine. A quell’ora dalle finestre si
vedevano alcune luci accese. Nell’allevamento i polli starnazzavano e le
galline chiocciavano facendo un gran baccano, segno che il signor Pezzini e sua
moglie stavano già distribuendo il becchime a quelle centinaia di pennuti.
Svoltato l’angolo della
cantina, si immetteva sulla strada statale che collegava la città con il lago e
la valle.
Su quella via i primi rumori
che sentì provenivano dall'Osteria "Alla Pesa", proprio di fronte
alla Pesa Pubblica. Era la mescita più vicina al Mercato Boario, dove ogni
mercoledì avvenivano le contrattazioni di compravendita di equini e bovini,
maiali, pecore e capre e ogni sorta di animali. Era il giorno del mercato e il
locale era già affollato di contadini, allevatori e sensali. In mezzo a un
gruppo di questi c'era Biagio Gaffurini, detto Pacatèsa, per il suo
parlare lento, con il tipico cappello tondo sulla sommità, il vestito di
fustagno e la catena d'oro dell'orologio da taschino che pendeva dal panciotto.
Ceschino lo conosceva bene perché suo padre si serviva di lui per acquistare i
maiali. Si lasciò dietro l'odore del vino e dei grappini e continuò per la sua
strada.
Il laboratorio del ciabattino
era ancora chiuso, ma il fornaio Bertelli, invece, era sulla porta del negozio
a fumare una sigaretta prima di andare a dormire.
- Ceschino, dove vai di
bello?
- Vado a servire la Messa
prima.
- Aspetta qui, un momento...
Entrò nel negozio e ne uscì
con un panino ancora caldo di forno.
- Tieni. Non ho tempo di
andare a Messa, me la dici tu un'orazione alla Madonna, me lo prometti?
- Grazie signor Tullio, lo
farò di sicuro, volentieri.
- Bravo, salutami il tuo papà
e la tua mamma.
Il bambino si mise il panino
in tasca. L'avrebbe mangiato dopo il rito: non poteva certo andare a fare la
comunione con lo stomaco pieno!
Il tratto di muro vicino alla
panetteria, era coperto dai resti dei manifesti del referendum e delle elezioni
della Costituente ormai ingialliti e sbiaditi dal sole e dalla pioggia. Si
riusciva ancora a vedere il ritratto della famiglia reale, il sovrano stempiato
con la moglie e i quattro figli tutti sorridenti, con la scritta:"Votate
per la monarchia", la figura inquietante di un soldato, o meglio del suo
scheletro, con la stella rossa sul berretto con lo slogan "Vota o sarà il
tuo padrone". C'era anche il volto del suo Garibaldi: "Se voti per
me, voti per te".
Naturalmente Ceschino non ci
capiva nulla. Aveva sentito le discussioni in campagna elettorale tra suo padre
e gli zii; sua madre e le zie avevano votato per la prima volta e si erano
portate dietro anche la nonna. Quello
che più lo inquietava, chissà perché, era tuttavia il manifesto del Partito
Repubblicano con le figure di due bambini con una corda intorno al collo. Sotto
c'era scritto "Liberateci dal nodo Sabaudo!"
Si portò la mano alla gola,
inconsciamente, immedesimandosi in quei bambini legati.
Un forte rumore di
trascinamento sulla terra battuta lo costrinse a voltarsi: vide l’imponente
figura del Rochi che arrivava dalla strada del monte. Ora si era fermato
a riprendere fiato prima di entrare in paese. Si asciugò il sudore sul viso con
lo straccio che teneva per riparare le spalle e la testa; con una mano teneva
ritto il bastone a forcella che reggeva il börölot, il grosso fascio di
legna che poteva pesare anche più di un quintale.
- Stai pensando per chi
votare? Guarda Ceschino che le hanno già fatte le elezioni!
-Lo so, lo so… rispose il
bambino arrossendo
Rocco Bonassi, due anni di
prigionia e tre di guerra, a un anno dal suo ritorno non aveva ancora trovato
un lavoro stabile, adattandosi a fare il manovale o il contadino a giornata.
Integrava le sue scarse entrate raccogliendo legna, funghi, lumache e tutto ciò
che si poteva commerciare. Pescava di frodo, stordendo i pesci dando mazzate
sulle pietre del fiume oppure mettendo i cordini: la sera, appena buio, posava
sul fondo del fiume, da una sponda all’altra, un cordino di cotone al quale
erano assicurati, ogni metro, fili di bava con amo e esca. Ritornava a
recuperarlo prima dell’alba, immergendosi di nuovo fino al petto nell’acqua
fredda. Vendeva le anguille e le trote, destinando cavedani e barbi alla mensa
famigliare.
Ceschino lo conosceva bene
perché suo padre lo ingaggiava quando c’erano lavori pesanti nei campi. Lo
salutò e riprese il suo cammino verso la chiesa.
La scoperta
Quando arrivò in piazza non
c'era ancora nessuna bancarella: gli ambulanti sarebbero arrivati più tardi con
le loro carrette e li avrebbe trovati all'uscita dalla chiesa.
Sulla porta dell'altro
panettiere c'era il carro del Bigio Cometti, detto Masnabutù, macinabottoni,
il mugnaio, che stava scaricando alcuni sacchi e li portava dentro il forno. Al
carro era legato un cavallino storno che piaceva molto a Ceschino. Si fermò
infatti a carezzarlo sul muso e l'animale emise un breve nitrito di saluto
facendo vibrare le froge umide. Gli porse un pezzo del suo panino che sparì
nella grande bocca.
Nel vicolo adiacente la
forneria c'era la bottega del maniscalco, ancora chiusa. Sarebbe passato di lì
dopo la Messa per salutare il signor Musini, per osservarlo mentre forgiava i
ferri per cavalli, buoi, mucche, asini e muli. Per guardarlo mentre con le sue
possenti braccia sollevava le zampe degli animali per limare gli zoccoli e per
ferrarli. Un giorno gli aveva chiesto se quei chiodi che infiggeva non
procurassero dolore. Il maniscalco l'aveva rassicurato: lui sapeva dove
piantarli senza fare del male.
Attraversò la piazza verso la
Chiesa. Ormai il campanile segnava il quarto alle sei, bisognava correre,
perché Don Luigi non amava i preparativi frettolosi.
Dopo pochi passi si bloccò:
la porta della tabaccheria della Mimì era spalancata e il suo sguardo fu
attirato da un pacchetto di sigarette per terra, sulla soglia. Si avvicinò
lentamente e allungò il collo per scrutare nella semioscurità del negozio. Non
sentiva la voce della padrona e nemmeno un rumore. La curiosità lo spinse a
entrare: davanti al banco tra pacchetti di sigarette, caramelle sparse e fogli
di vario genere giaceva il corpo della tabaccaia, la testa in una pozza di
sangue. Un grido stridulo di terrore gli uscì dalla bocca, scappò via dal
negozio in direzione della chiesa, urlando:
- Aiuto, aiuto!
Le rare persone che stavano
passando sul ponte, non riuscendo a comprendere cosa stava accadendo, si
diressero in senso contrario alla sua corsa.
Arrivato ansimante e
trafelato in sacrestia, Ceschino, cereo in viso e scosso da singhiozzi non fu
subito in grado di raccontare al parroco quel che aveva visto. Ci vollero un
paio di minuti, poi Don Luigi disse:
- Vado subito a vedere cosa è
successo. Tu, intanto vai in caserma e avverti il maresciallo.
Quando il maresciallo Giacanò
e il suo appuntato arrivarono con le loro biciclette sul luogo della scoperta
c'era già una piccola folla che si spintonava per poter vedere dentro il
negozio.
Venne loro incontro il
parroco.
- Povera Mimì! Le ho dato
l'estrema unzione...
Il maresciallo intimò a tutti
di allontanarsi qualche metro dall'ingresso, Paccanella spintonò i più restii
apostrofandoli con il suo vocione, poi i due carabinieri entrarono per
osservare la scena e fare i primi rilievi, ma il loro primo compito, difficile
e penoso, fu quello di staccare il Virgola dal corpo esanime della tabaccaia.