giovedì 22 dicembre 2011

LA SCUOLA CHE VORREI


LA SCUOLA CHE VORREI


la scuola che vorrei
non ha classi,
solo gruppi di bambini che si sporcano le mani cercando le leggi dell’universo nelle cose e nella loro trasformazione. 
una scuola dove le parole non sono prigioniere di tabelle, ma sono giocattoli nei quali è divertente scoprire suoni, significati, legami, una scuola che guida all’interiorizzazione di valori condivisi con le famiglie,
che indaga le radici per costruire il racconto delle identità e svelare la poesia dell’umanita’ colorata e difforme.
una scuola di curiosi,
piccoli e grandi.

 mauro

lunedì 19 dicembre 2011

IL GARIBALDINO NELLA FOTO
  Il mio amico Pino Greco ha scritto tempo fa...                  
 “ Polenta e fritada, föc  à la disperada “.
Eccola  rivelata, dalle prime righe, la chiave di lettura del tuo libro, caro Mauro.
Un buon detto antico che rimanda a caligini e bagliori concitati, a famiglie stipate in ricoveri provvidenziali e invariabilmente precari, a robusti appetiti angustiati dalle fatiche e dalle mortificazioni di una condizione servile.

Praticamente il tuo substrato identitario.  Lo


stigma inconfutabile che, in tanti anni, ho imparato a riconoscere nei volti e nelle storie di una certa Valsabbia. Quella che ha sopportato l’avarizia della terra e l’arroragnza dei  “patrù” di turno con la tenacia rassegnata di chi possedeva solo le braccia per crescere la famiglia..
La storia ha poi trovato i nomi giusti per certe pulsioni represse: ribelle, anarchico, socialista, sovversivo… ma, per i tanti contadini piegati sulle zolle dall’alba al tramonto e gravati da un’istruzione  malferma, l’unica aspirazione consapevole era la ricerca di una qualche dignità personale e, magari, di una giustizia riparatrice.
Per il nostro Carlo Tebaldini,  garibaldì di Soprazocco, la sorte aveva invece apparecchiato un storia diversa.  Sì, proprio quella storia che tu hai reinventato con passione e accuratezza, dopo una ricerca rigorosa delle fonti. Scartabellando fra archivi e retaggi della memoria collettiva.
Così, sullo sfondo delle guerre di indipendenza, fra gli echi delle battaglie leggendarie di Solferino, San Martino, Custoza e Bezzecca, si materializza il protagonismo genuino e scaltro di una giovanissima recluta  che non aveva   esitato a infrangere i severi divieti del padre e le suppliche di una madre in lacrime, pur di marciare  accanto al suo Mito.
Giuseppe Garibaldi si era guadagnato una fama planetaria con le sue imprese favorite  dall’ardimento, sollecitate da aneliti di giustizia e libertà, immuni da ambizioni e interessi personali.  Ma i parametri della truppa erano più alla buona.    Il Generale non era mai stanco. Il Generale dormiva per terra e mangiava il rancio dei soldati. Il Generale compariva spesso fra i suoi uomini e quando eri in difficoltà te lo ritrovavi dietro a rassicurare e a pungolare. Garibaldi  era così entrato nel cuore e nella pancia delle sue camicie rosse semplicemente proponendosi nella quotidianità spicciola, nella condivisione delle difficoltà e dei sacrifici ascritti alla generalità della truppa.
Un esempio virtuoso. Prima di tutto. Ecco cos’era il Generale per i suoi e anche per coloro che non marciavano ai suoi ordini, ma erano pronti a gesti memorabili pur di assecondarne  le urgenze. Vedi il ponte di Gaard  sbriciolato dagli austriaci e ricostruito in un solo giorno, con quella solerzia geniale perdurante da sempre nel DNA di una certa valsabbinità.
Nella ricostruzione  dell’episodio in questione non è difficile cogliere un qualche compiacimento da parte dell’autore. Non poteva essere altrimenti. Già, perché l’identificazione autore-protagonista, pur dissimulata con lo scrupolo dello storico divulgatore, riemerge limpida ogni volta che Carlo el garibaldì gira lo sguardo intorno ed elabora congetture e riflessioni.
La terra e la mezzadria, la patria e lo straniero, le requisizioni degli eserciti in transito e le gabelle dopo la vittoria, la disciplina dei soldati e lo smarrimento di certi comandanti, le illusioni dei contadini meridionali e la repressione del brigantaggio. Ma anche la famiglia che si forma, i San Martì  che scombinano abitudini e rapporti  umani, l’impatto con le nuove generazioni, l’affidamento dei bambini alla ruota, i preti bacchettoni, le perversioni del Conte Gigli…
Ecco, quando l’osservazione si ritrae dai campi di battaglia e l’incombenza demiurgica del Generale si defila dal proscenio, riprende consistenza il Maurizio-autore.  Lo fa con la puntigliosa rivisitazione di eventi emblematici di contesti sociali e culturali assolutamente familiari. Tutti decrittati con la semplicità didascalica del pedagogo di antica consuetudine. Del Signor Maestro di  scuola elementare.
Ma lo fa, soprattutto, con una splendida generosità di cuore ma anche di testa. Una generosità tanto più ammirevole proprio perché pertinente, incisiva,ordinata e intelligente.  Da vecchio, inguaribile socialista. Appunto.
 (Il Garibaldino nella foto-Storia di un contadino in camicia rossa, Liberedizioni 2011)

Brescia, 15 marzo 2011                                                       Pino    Greco

domenica 18 dicembre 2011

IL GARIBALDINO NELLA FOTO - WANTED GARIBALDI


Teatro Poetico Gavardo
presenta
"WANTED GARIBALDI" 
con Andrea Giustacchini

e con Peppino Coscarelli
musiche dal vivo di Luca Lombardi

scritto e diretto da John Comini 
Sono 1200 le lapidi in Italia che testimoniano che in quel luogo Giuseppe Garibaldi passò, dormì o parlò. Una figura complessa la sua, trasformato in monumento dalla retorica, di cui non è semplice parlare. Il Teatro Poetico Gavardo ci prova con "Wanted Garibaldi", la narrazione allegra, scanzonata, a volte amara, della vita di un uomo chiamato da qualcuno Eroe dei due Mondi e da altri brigante, corsaro o anche peggio. Lo spettacolo racconta le battaglie, i trionfi e le delusioni, gli amori e i matrimoni del Generale, dalla nascita a Nizza all'Impresa dei Mille alla morte a Caprera. Si parla di Anita, del Re Vittorio Emanuele, di Cavour, del Re Francesco II, di Bixio e dei garibaldini…Si parla anche delle donne di Garibaldi, chiamato anche L'Amante dei due mondi.
"Wanted Garibaldi" vuol essere uno spettacolo dinamico e leggero, tocca aspetti celebri e inconsueti del Generale, narra luci e ombre, successi e contraddizioni.
Uno spettacolo per niente celebrativo, in ogni caso.
I fatti storici tratti da Montanelli a Smith, da Petacco a Fracassi, da Goldoni a Biagi, da Socci a Wilkipedia… sono ricostruiti in modo da rendere avvincente la narrazione, suscitare negli spettatori - anche con l'utilizzo delle musiche e delle sagome- la curiosità verso fatti che sembrano lontani nel tempo.




La recensione al "Garibaldino" su Toscanalibri
 
TOSCANALIBRI
http://www.toscanalibri.it/news_autori.php?ID=4013
“L’urgenza della memoria mi ha spronato alla scrittura”. Parla lo scrittore Maurizio Abastanotti  [06/12/2011]
Se la vicenda dei Mille fosse stata una parte della storia “a stelle e strisce” probabilmente saremmo stati inondati da produzioni sugli eroismi dei singoli, sul valore dell’amicizia e degli ideali. Al contrario, l’Italia è un Paese che gioca alla detrazione, si dimentica tutto ed in fretta, salvo poi lasciare il passo, di tanto in tanto, ad un pruriginoso revisionismo. Per fortuna ci sono autori che, in barba alle mode, si impegnano per trovare vicende da narrare, che siano pure testimonianze da regalare a quelle generazioni che solo parzialmente sui libri scolastici (o peggio, in televisione attraverso improbabili fiction) hanno conosciuto fasi salienti del nostro Paese. Maurizio Abastanotti è uno di questi; non pubblica con le grandi case editrici ma il suo lavoro merita un plauso per l’onestà intellettuale e l’intento, ovvero, partire dalla Storia per raccontare gli uomini con le loro passioni. Dopo “A chi dimanda di me”, Abastanotti torna con “Il garibaldino nella foto”, pubblicato di recente da Liberedizioni. Nell’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia, il tema cade a proposito.

Il sottotitolo del libro è “Storia di un contadino in camicia rossa”: come nasce l’idea della narrazione?
“Da una foto scattata nel 1911 che ritrae cinque personaggi, quattro giovani e un vecchio. Volevo scoprire chi fosse quell’uomo con le medaglie che aveva l’aria di sentirsi un po’ a disagio con uno schioppo al fianco e una macchina fotografica davanti. Il secondo indizio era il soprannome del personaggio: “l garibaldì “( il garibaldino). I documenti che abbiamo trovato non erano molti. Era scontato, trattandosi di un mezzadro. La memoria popolare, tuttavia, registrava ancora abbondanti tracce orali. A quel punto è maturata la scelta di scrivere un racconto che si snoda tra il vero storico documentato e il verosimile immaginato sulla base di fonti orali, archivistiche e bibliografiche”.
Quanto è stato difficile recuperare i documenti che sono stati poi utilizzati nel volume?
“Non è stato particolarmente difficile, ma certamente laborioso. Li abbiamo rinvenuti sparsi in vari archivi parrocchiali e comunali, come pure in carteggi privati. I documenti degli archivi comunali hanno consentito la ricostruzione di una parte importante del contesto storico locale, mentre in quelli parrocchiali abbiamo potuto ricostruire le vicende personali e familiari”.
Nel primo romanzo si era occupato della Prima Guerra Mondiale, stavolta è toccato ai Garibaldini: perché predilige il romanzo storico?
“Perché la Storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere” mi vien da rispondere, citando De Gregori. Come cittadino, come insegnante e genitore ho sempre sentito l’urgenza della memoria, la necessità di dar voce anche ai protagonisti considerati minori, alle storie che i libri di Storia non raccontano o lo fanno, ancora oggi, in modo parziale. L’ignoranza diffusa sulla nostra Storia, anche locale, ha già fatto gravi danni e potrebbe farne anche di peggiori nella costruzione di una identità collettiva e personale nelle nuove, ma anche nelle vecchie generazioni. Scrivere un libro e trovare un editore che lo pubblica, però, non basta. E’ necessario che la gente lo legga. E’ qui che è entrata in azione la squadra: un gruppo di attori, un regista e autore teatrale, l’editore e il sottoscritto, supportato da mia moglie come produttore e agente. Con la presentazione dei volumi abbinata ad uno spettacolo teatrale abbiamo girato la Lombardia orientale mettendo in scena fino ad ora 51 repliche per il primo libro e 32 per il secondo”.
Nell’introduzione lei scrive: “Non ho mai amato il fanatismo patriottico, non sono fra quelli che si emozionano all’alzabandiera”…perché allora pubblicare un libro che si occupa proprio di patriottismo e Unità d’Italia?
“Carlo Tebaldini segue Garibaldi non tanto per l’ideale patriottico, che pure lo anima, ma per la speranza di un mondo migliore. In questa fase ho ritenuto importante cercare le tracce di una partecipazione popolare al Risorgimento che i revisionisti di turno si affannano a negare”.
Il suo protagonista è entusiasta, stravede per il generale Garibaldi, salvo poi restare deluso al termine delle battaglie a causa dei risvolti politici: si potrebbe tracciare una similitudine con la Resistenza antifascista?
“Qualche similitudine è rintracciabile nella disillusione per la mancata discontinuità nelle strutture portanti dello Stato. Non è invece paragonabile l’evoluzione sul piano sociale. Dopo il Risorgimento la grande disparità tra le classi sociali non è diminuita, ma aumentata. La qualità della vita delle classi popolari, dopo le guerre cosiddette d’Indipendenza (Grande Guerra compresa) è andata progressivamente peggiorando fino alla fame, penso anche al fenomeno dell’abbandono dei neonati. Nell’ultimo dopoguerra questo non è accaduto. La disillusione del protagonista del mio libro, tuttavia, è piuttosto una metafora delle delusioni che ha sofferto la mia generazione, le cui aspirazioni sono cresciute nel ’68 e dintorni e si sono frantumate nell’impatto con gli ultimi vent’anni”.

Valerio Cattano

SOTTOTORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO

“Q” di Luther Blisset per il libro, come autore indico Nuto Revelli
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“Fun Home” di Alison Bechdel
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Asce di guerra” firmato da Wu Ming e Vitaliano Ravagli
LEGGERE E’…
Vivere tante vite





mercoledì 7 dicembre 2011

Prima del "Garibaldino" avevo scritto un'altro libro:
"A chi dimanda di me - Lettere e diari dei soldati valsabbini e gardesani alla Grande Guerra 1915/18"





  Ho letto e riletto le loro lettere, le loro cartoline, la grafìa affaticata di chi è avvezzo alla zappa e alla falce, al martello e all’incudine.   Li ho incontrati, uno ad uno immaginati, dal piccolo Velido ad Italo, lo spaccone.  Ogni volta che rileggo le loro parole aumenta in me il rispetto per la loro umanità, sia quando sospirano la Pace sia quando esaltano la guerra.  I ragazzi di vent’anni o i padri di famiglia che hanno lasciato la loro vita per una guerra condotta senza capo né coda da generali impreparati ed esaltati, nel massimo disprezzo delle vite umane, sono i protagonisti di questa ricerca.  La Storia sono loro che, senza alcuna intenzione letteraria, ci parlano del loro coraggio, delle loro paure, delle loro speranze o della loro disperazione, raccontano momenti tristi o divertenti, tragici o esaltanti di una vicenda che altri hanno deformato prima, durante e dopo.
La Storia sono loro, perché loro erano in trincea mentre generali e giornalisti famosi si scambiavano opinioni ed informazioni, favori ed adulazioni nei salotti delle ville venete o nei bordelli di lusso.
Uno destino ingiusto ma non strano ha fatto sì che i generali, anche quelli trombati come Cadorna e Graziani, siano stai poi gratificati negli anni del Ventennio con pensioni d’oro o rinnovati incarichi. Ai protagonisti del mio libro, invece, è toccata spesso la dispersione dei resti e una croce di guerra o una medaglia,  a consolazione di chi restava

sabato 26 novembre 2011

IL GARIBALDINO


PREMESSA
Questo libro è una doppia sfida.
La prima sta nel narrare il Risorgimento o parte di esso dal punto di vista degli uomini e delle donne appartenenti alle classi meno dotate di strumenti interpretativi della realtà, vale a dire meno coinvolte nell’informazione e nella diffusione delle idee. Se per la Prima Guerra Mondiale, descritta nel mio libro “A chi dimanda di me”, era stato abbastanza agevole trovare documenti personali scritti, per quanto riguarda il Risorgimento è stato molto più difficile. Anche i garibaldini scrivevano a casa per raccontare la loro “epopea”, ma lo facevano quasi esclusivamente quelli appartenenti alle classi più agiate. Come ricostruire, dunque, la narrazione dal punto di vista di un contadino?
Il punto di partenza, il principio, fu una fotografia, quella che si descrive nel prologo. Al centro di quella foto è ritratto Carlo, il protagonista di questo libro, in età senile. Nella tradizione orale egli era chiamato “’l garibaldì”, il garibaldino. L’indagine è partita da quella immagine e da quel soprannome.
Carlo non è un personaggio immaginario.  Nato il 26 luglio 1844, ha realmente vissuto una fase importante del Risorgimento, ma non sono rimasti documenti scritti sulle sue esperienze personali, umane e militari. Le ho immaginate, ricostruite. Ho raccolto testimonianze orali e consultato i documenti degli archivi parrocchiali e comunali. Per completare il quadro ho attinto alle abbondanti pubblicazioni autobiografiche, biografiche e storiografiche sull’argomento. 
Quello che ho cercato di ricostruire è, dunque, uno scorcio di Risorgimento tra il 1859 e il 1866  così come avrebbe potuto narrarlo un contadino lombardo che ha partecipato a quelle vicende.
Lo schema narrativo, in tre tempi, rimanda il lettore dal presente del narratore, il 1927, ultimo anno della sua vita, al passato vissuto nella sua gioventù. Nel racconto egli non si concentra soltanto sulle vicende militari, ma trascina in esso anche tutto il suo mondo e la sua visione della realtà quotidiana. Non si lascia prendere da toni celebrativi, ma rappresenta il suo giovanile entusiasmo e la venerazione perpetua per il Generale che fu definito l’Eroe dei due mondi. Racconta anche la sua disillusione dopo la delusione delle grandi speranze di giustizia sociale.
La seconda sfida è parlare di garibaldini in questo momento storico.  Le vicende del Risorgimento, e per uno strano destino in particolare quelle di Garibaldi, sono coinvolte nella polemica politica.
Non ho mai amato il fanatismo patriottico, non sono tra quelli che si emozionano all’alzabandiera, ma credo che l’Unità d’Italia sia stata un processo storico inevitabile e allo stato dei fatti, irreversibile. Certo la forma organizzativa dello Stato Italiano potrà e dovrà subire adattamenti conseguenti all’evoluzione della società civile.
Oggi dobbiamo esaminare, finalmente senza reticenze, quel secolo e mezzo, dalla Repubblica Cisalpina alla Guerra di Liberazione, che ha visto realizzarsi l’unificazione dell’Italia attraverso vicende drammatiche, passaggi contraddittori l’affermazione e i tradimenti degli ideali,  le tragedie sociali e le  vicende esaltanti, entusiasmi e disillusioni, disperazioni e speranze. 
Spero che il mio libro contribuisca, nel suo piccolo, a stimolare ulteriori letture, poiché nella nostra identità c’è anche tutta questa storia.