IL GARIBALDINO NELLA FOTO
Il mio amico Pino Greco ha scritto tempo fa...
“ Polenta e fritada, föc à la
disperada “.
Eccola rivelata, dalle
prime righe, la chiave di lettura del tuo libro, caro Mauro.
Un buon detto antico che rimanda a caligini e bagliori
concitati, a famiglie stipate in ricoveri provvidenziali e invariabilmente
precari, a robusti appetiti angustiati dalle fatiche e dalle mortificazioni di
una condizione servile.
Praticamente il tuo substrato identitario. Lo
stigma inconfutabile che, in tanti anni,
ho imparato a riconoscere nei volti e nelle storie di una certa Valsabbia.
Quella che ha sopportato l’avarizia della terra e l’arroragnza dei “patrù”
di turno con la tenacia rassegnata di chi possedeva solo le braccia per
crescere la famiglia..
La storia ha poi trovato i nomi giusti per certe pulsioni
represse: ribelle, anarchico, socialista, sovversivo… ma, per i tanti contadini
piegati sulle zolle dall’alba al tramonto e gravati da un’istruzione malferma, l’unica aspirazione consapevole era
la ricerca di una qualche dignità personale e, magari, di una giustizia
riparatrice.
Per il nostro Carlo Tebaldini, garibaldì
di Soprazocco, la sorte aveva invece apparecchiato un storia diversa. Sì, proprio quella storia che tu hai
reinventato con passione e accuratezza, dopo una ricerca rigorosa delle fonti. Scartabellando
fra archivi e retaggi della memoria collettiva.
Così, sullo sfondo delle guerre di indipendenza, fra gli echi
delle battaglie leggendarie di Solferino, San Martino, Custoza e Bezzecca, si
materializza il protagonismo genuino e scaltro di una giovanissima recluta che non aveva
esitato a infrangere i severi divieti
del padre e le suppliche di una madre in lacrime, pur di marciare accanto al suo Mito.
Giuseppe Garibaldi si era guadagnato una fama planetaria con
le sue imprese favorite dall’ardimento, sollecitate
da aneliti di giustizia e libertà, immuni da ambizioni e interessi
personali. Ma i parametri della truppa erano
più alla buona. Il Generale non era mai stanco. Il Generale dormiva
per terra e mangiava il rancio dei soldati. Il Generale compariva spesso fra i
suoi uomini e quando eri in difficoltà te lo ritrovavi dietro a rassicurare e a
pungolare. Garibaldi era così entrato
nel cuore e nella pancia delle sue camicie rosse semplicemente proponendosi
nella quotidianità spicciola, nella condivisione delle difficoltà e dei
sacrifici ascritti alla generalità della truppa.
Un esempio virtuoso. Prima di tutto. Ecco cos’era il Generale
per i suoi e anche per coloro che non marciavano ai suoi ordini, ma erano
pronti a gesti memorabili pur di assecondarne
le urgenze. Vedi il ponte di Gaard sbriciolato dagli austriaci e ricostruito in
un solo giorno, con quella solerzia geniale perdurante da sempre nel DNA di una
certa valsabbinità.
Nella ricostruzione dell’episodio
in questione non è difficile cogliere un qualche compiacimento da parte
dell’autore. Non poteva essere altrimenti. Già, perché l’identificazione
autore-protagonista, pur dissimulata con lo scrupolo dello storico divulgatore,
riemerge limpida ogni volta che Carlo el
garibaldì gira lo sguardo intorno ed elabora congetture e riflessioni.
La terra e la mezzadria, la patria e lo straniero, le requisizioni
degli eserciti in transito e le gabelle dopo la vittoria, la disciplina dei
soldati e lo smarrimento di certi comandanti, le illusioni dei contadini
meridionali e la repressione del brigantaggio. Ma anche la famiglia che si
forma, i San Martì che scombinano abitudini e rapporti umani, l’impatto con le nuove generazioni,
l’affidamento dei bambini alla ruota, i preti bacchettoni, le perversioni del
Conte Gigli…
Ecco, quando l’osservazione si ritrae dai campi di battaglia
e l’incombenza demiurgica del Generale si defila dal proscenio, riprende
consistenza il Maurizio-autore. Lo fa
con la puntigliosa rivisitazione di eventi emblematici di contesti sociali e
culturali assolutamente familiari. Tutti decrittati con la semplicità
didascalica del pedagogo di antica consuetudine. Del Signor Maestro di scuola elementare.
Ma lo fa, soprattutto, con una splendida generosità di cuore
ma anche di testa. Una generosità tanto più ammirevole proprio perché
pertinente, incisiva,ordinata e intelligente.
Da vecchio, inguaribile socialista. Appunto.
(Il Garibaldino nella foto-Storia di un contadino in camicia rossa, Liberedizioni 2011)
Brescia, 15 marzo 2011
Pino Greco