mercoledì 7 dicembre 2011

Prima del "Garibaldino" avevo scritto un'altro libro:
"A chi dimanda di me - Lettere e diari dei soldati valsabbini e gardesani alla Grande Guerra 1915/18"





  Ho letto e riletto le loro lettere, le loro cartoline, la grafìa affaticata di chi è avvezzo alla zappa e alla falce, al martello e all’incudine.   Li ho incontrati, uno ad uno immaginati, dal piccolo Velido ad Italo, lo spaccone.  Ogni volta che rileggo le loro parole aumenta in me il rispetto per la loro umanità, sia quando sospirano la Pace sia quando esaltano la guerra.  I ragazzi di vent’anni o i padri di famiglia che hanno lasciato la loro vita per una guerra condotta senza capo né coda da generali impreparati ed esaltati, nel massimo disprezzo delle vite umane, sono i protagonisti di questa ricerca.  La Storia sono loro che, senza alcuna intenzione letteraria, ci parlano del loro coraggio, delle loro paure, delle loro speranze o della loro disperazione, raccontano momenti tristi o divertenti, tragici o esaltanti di una vicenda che altri hanno deformato prima, durante e dopo.
La Storia sono loro, perché loro erano in trincea mentre generali e giornalisti famosi si scambiavano opinioni ed informazioni, favori ed adulazioni nei salotti delle ville venete o nei bordelli di lusso.
Uno destino ingiusto ma non strano ha fatto sì che i generali, anche quelli trombati come Cadorna e Graziani, siano stai poi gratificati negli anni del Ventennio con pensioni d’oro o rinnovati incarichi. Ai protagonisti del mio libro, invece, è toccata spesso la dispersione dei resti e una croce di guerra o una medaglia,  a consolazione di chi restava

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