lunedì 19 dicembre 2011

IL GARIBALDINO NELLA FOTO
  Il mio amico Pino Greco ha scritto tempo fa...                  
 “ Polenta e fritada, föc  à la disperada “.
Eccola  rivelata, dalle prime righe, la chiave di lettura del tuo libro, caro Mauro.
Un buon detto antico che rimanda a caligini e bagliori concitati, a famiglie stipate in ricoveri provvidenziali e invariabilmente precari, a robusti appetiti angustiati dalle fatiche e dalle mortificazioni di una condizione servile.

Praticamente il tuo substrato identitario.  Lo


stigma inconfutabile che, in tanti anni, ho imparato a riconoscere nei volti e nelle storie di una certa Valsabbia. Quella che ha sopportato l’avarizia della terra e l’arroragnza dei  “patrù” di turno con la tenacia rassegnata di chi possedeva solo le braccia per crescere la famiglia..
La storia ha poi trovato i nomi giusti per certe pulsioni represse: ribelle, anarchico, socialista, sovversivo… ma, per i tanti contadini piegati sulle zolle dall’alba al tramonto e gravati da un’istruzione  malferma, l’unica aspirazione consapevole era la ricerca di una qualche dignità personale e, magari, di una giustizia riparatrice.
Per il nostro Carlo Tebaldini,  garibaldì di Soprazocco, la sorte aveva invece apparecchiato un storia diversa.  Sì, proprio quella storia che tu hai reinventato con passione e accuratezza, dopo una ricerca rigorosa delle fonti. Scartabellando fra archivi e retaggi della memoria collettiva.
Così, sullo sfondo delle guerre di indipendenza, fra gli echi delle battaglie leggendarie di Solferino, San Martino, Custoza e Bezzecca, si materializza il protagonismo genuino e scaltro di una giovanissima recluta  che non aveva   esitato a infrangere i severi divieti del padre e le suppliche di una madre in lacrime, pur di marciare  accanto al suo Mito.
Giuseppe Garibaldi si era guadagnato una fama planetaria con le sue imprese favorite  dall’ardimento, sollecitate da aneliti di giustizia e libertà, immuni da ambizioni e interessi personali.  Ma i parametri della truppa erano più alla buona.    Il Generale non era mai stanco. Il Generale dormiva per terra e mangiava il rancio dei soldati. Il Generale compariva spesso fra i suoi uomini e quando eri in difficoltà te lo ritrovavi dietro a rassicurare e a pungolare. Garibaldi  era così entrato nel cuore e nella pancia delle sue camicie rosse semplicemente proponendosi nella quotidianità spicciola, nella condivisione delle difficoltà e dei sacrifici ascritti alla generalità della truppa.
Un esempio virtuoso. Prima di tutto. Ecco cos’era il Generale per i suoi e anche per coloro che non marciavano ai suoi ordini, ma erano pronti a gesti memorabili pur di assecondarne  le urgenze. Vedi il ponte di Gaard  sbriciolato dagli austriaci e ricostruito in un solo giorno, con quella solerzia geniale perdurante da sempre nel DNA di una certa valsabbinità.
Nella ricostruzione  dell’episodio in questione non è difficile cogliere un qualche compiacimento da parte dell’autore. Non poteva essere altrimenti. Già, perché l’identificazione autore-protagonista, pur dissimulata con lo scrupolo dello storico divulgatore, riemerge limpida ogni volta che Carlo el garibaldì gira lo sguardo intorno ed elabora congetture e riflessioni.
La terra e la mezzadria, la patria e lo straniero, le requisizioni degli eserciti in transito e le gabelle dopo la vittoria, la disciplina dei soldati e lo smarrimento di certi comandanti, le illusioni dei contadini meridionali e la repressione del brigantaggio. Ma anche la famiglia che si forma, i San Martì  che scombinano abitudini e rapporti  umani, l’impatto con le nuove generazioni, l’affidamento dei bambini alla ruota, i preti bacchettoni, le perversioni del Conte Gigli…
Ecco, quando l’osservazione si ritrae dai campi di battaglia e l’incombenza demiurgica del Generale si defila dal proscenio, riprende consistenza il Maurizio-autore.  Lo fa con la puntigliosa rivisitazione di eventi emblematici di contesti sociali e culturali assolutamente familiari. Tutti decrittati con la semplicità didascalica del pedagogo di antica consuetudine. Del Signor Maestro di  scuola elementare.
Ma lo fa, soprattutto, con una splendida generosità di cuore ma anche di testa. Una generosità tanto più ammirevole proprio perché pertinente, incisiva,ordinata e intelligente.  Da vecchio, inguaribile socialista. Appunto.
 (Il Garibaldino nella foto-Storia di un contadino in camicia rossa, Liberedizioni 2011)

Brescia, 15 marzo 2011                                                       Pino    Greco

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