Dov’è
Nikolajewka ?
Non
c’è due….La profezia era fin troppo facile conoscendo la
caratura umana e il background professionale dell’autore. Maurizio
Abastanotti è un maestro fatto e finito. Da un lato il gusto per la
ricerca bibliografica e le osservazioni sul campo, dall’altro una
perseverante vocazione pedagogica. E così, dopo le suggestioni
risorgimentali ( Il
garibaldino nella foto)
e le parole senza voce della Grande Guerra ( A
chi dimanda di me),
l’autore racconta gli scenari sconsolati della ritirata di Russia.
Geniale
il titolo: “Dov’è Nikolajewka ?”. Già perché i ragazzi fanno
domande essenziali e spiazzanti. Dov’è quel luogo-non luogo
divenuto un must della retorica patriottica, condita di orgoglio
valligiano e alimentata dalle stratificazioni della narrativa e delle
celebrazioni ? E subito si scopre che questo nome familiare ed
evocativo come katiuscia,
matrioska e balalaika,
scolpito nel granito dell’immaginario bresciano, risulta cancellato
dalla toponomastica. Vive solo nella memoria di quei sopravvissuti
che, settanta anni fa, nei luoghi della battaglia c’erano.
Ecco,
il libro vive sul dialogo incalzante fra una nipote ostinatamente
curiosa e un nonno dal cuore pieno di memoria. L’impianto è
elementare ma si dipana con sapienza drammaturgica. I giovani, si sa,
privilegiano l’epilogo terribilmente e dolorosamente avvincente. I
nonni hanno la saggezza di allargare lo scenario agli antefatti, alle
implicazioni politiche ed economiche, alle motivazioni dei popoli e
dei singoli combattenti.
Ne
nasce un continuo e febbrile rinvio, passando per le fasi di quella
sciagurata spedizione e la maturazione della consapevolezza,
desolatamente lucida, che il cinismo del governo fascista si stava
prendendo gioco degli incauti entusiasmi di un’intera generazione
di giovani.
Al
momento clou che, come da copione arriva puntualmente alla fine, un
colpo di scena. La voce narrante si blocca. Incapace di sostenere il
tumulto dei sentimenti. Il racconto di quella battaglia che consentì,
a costo di autentici atti di eroismo, di rompere l’accerchiamento e
aprirsi la strada per il ritorno, è affidata alla pagina scritta.
Appunti
li chiama il nonno, ma il lettore non se ne avvede. Il distacco e la
concisione non sfumano la crudezza dello scontro fra un esercito che
legittimamente difendeva la propria patria e i resti delusi di
un’armata che, abbandonati i sogni di conquista, desiderava solo
tornare a casa. E’ il momento in cui, dalla massa informe di
sbandati in preda alle allucinazioni da assideramento, si delineano i
volti e le storie di amici che non ce l’hanno fatta e che
resteranno incisi, con il peso di un inconfessato rimorso, nella
memoria del sopravvissuto.
Una
bella e commossa pagina di storia, dunque, ad uso didattico. Ma il
target non è necessariamente quello di età scolare se perfino uno
smagato ex uomo di scuola, con anni di studi e di insegnamento delle
discipline storiche, qui e là ha avuto un soprassalto di stupore per
un particolare ignoto o per qualche retroscena estrapolato dagli
archivi delle cancellerie dell’est e dell’ovest.
Un
libro appassionante, ma rigoroso. Conciso, ma esauriente. Piacevole,
ma profondo. Un libro che fornisce, poi, all’autore il pretesto
per uno sdoppiamento fruttuoso. Fra le reminiscenze e i vezzi di
un’adolescenza desiderosa di apprendere e la proiezione della sua
maturità verso una vecchiaia pacatamente assorbita dalle perenni
aspirazioni all’ammaestramento.
Lo
si intuisce dagli spazi che, nell’avvicendarsi degli eventi
bellici, si ricavano certi informali dissertazioni sulla identità
contadina e operaia del territorio di riferimento.
In
questo modo il nonno, mentre impartisce lezioni di storia, si
preoccupa di salvare la memoria e il sapere pratico di una
generazione cresciuta nelle campagne. Così capita che a una
circostanziata denuncia dei materiali scadenti di quell’improvvida
armata, faccia seguito la minuziosa descrizione della gravidanza di
una coniglia del proprio cortile. Con la stessa premura didascalica.
Tuttavia,
conoscendo le convinzioni e gli intenti di Maurizio Abastanotti, si
può affermare che certi esempi delle pratiche del passato non
preludono a un ritorno a quei tempi, tutt’altro che idillici.
Tantomeno intendono rinnegare i progressi attuali.
Quei
saperi, infatti, potrebbero semplicemente essere il punto di partenza
per affrontare il futuro, con il dovuto rispetto per la terra e la
capacità di farla fruttare senza le smanie del profitto a tutti i
costi.
Chiude
il libro un siparietto commosso fra nonno e nipote.
- Nonno, non morire, ti prego !
- Farò del mio meglio…
Fatti
i debiti scongiuri , l’auspicio è che il nonno-maurizio traduca
quel meglio
in altri splendidi racconti sulle storie e le vite della nostra
gente.
P
I N O G R E C O
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