mercoledì 27 settembre 2017

LEM.3
I LEM (Living experience music) sono una band che si è costituita nel gennaio del 1970. Sono alla loro terza formazione, punto tre (LEM.3), appunto. Dopo l'interruzione del 1972, la seconda formazione con l'ingresso di Alberto alla chitarra, nella prima decade degli anni 2000 e infine la nuova formazione dopo la scomparsa del caro amico Gigi, storico bassista, sostituito da Gino.
Domenica 7 maggio dalle ore 16.30, sul palco del Teatro Salone Pio XI di Gavardo,
I LEM.3 (terza riedizione della storica band gavardese) si sono esibiti in uno spettacolo nel quale hanno coinvolto anche John Comini. Il noto regista e autore teatrale sarà in veste di attore e presentatore.
Il repertorio spazia dai Beatles a Zucchero, passando per CCR, New Trolls, Carlos Santana e tanti altri protagonisti delle scene musicali italiane e internazionali degli ultimi 50 anni.
Leader musicale del gruppo è Santino Maioli, in tandem con l’altro chitarrista  Alberto Comaglio. Completano la formazione Franco Marini alla chitarra acustica, Gino Toffolo al basso, Mario Vezzoni alla batteria e infine Maurizio (Mauro) Abastanotti al sax alto, che alterna la sua voce con quella di Alberto e Santino.
I LEM.3 si ripresentano al pubblico a sostegno delle iniziative della onlus Rio de Oro Gavardo per i bambini del Saharawi, associazione che ospita e assiste i bambini disabili di quel popolo senza terra.

Le iniziative benefiche continueranno nel corso dell'autunno. Il prossimo appuntamento è previsto per il 21 ottobre 2017 a Caino (BS).

FRAMMENTI DI STORIA DEL GRUPPO
CAP.1
Avevano tante idee per la testa e nemmeno un soldo in tasca. La paghetta durava dal sabato al martedì, dopo di che  si andava in riserva; nelle settimane virtuose qualche spicciolo arrivava fino al giovedì, poi più niente … Miscela razionata nel motorino, sigarette sempre più scadenti e al bar solo un caffè, ma infine tornava il sabato ed era di nuovo paghetta.
In queste condizioni pensare di acquistare gli amplificatori e un impianto voce era un aspirazione da visionari incoscienti. Qualcuno, però, ricordò che Don Erminio era stato designato alla grande responsabilità di parroco nella fiorente città di Clibbio, frazione di Vobarno. Questo sacerdote, sant’uomo, mentre si trovava a Gavardo si era dedicato all’animazione dei ragazzi, fondando un gruppo scout e stimolando la nascita di un gruppo musicale. Ora che si era trasferito, dov’erano finiti gli impianti di amplificazione?
Detto, fatto. Una domenica mattina i nostri, inforcati i motorini e gli scooter freschi di rifornimento si recarono a Clibbio. Don Erminio li accolse e mostrò loro quanto gli era rimasto: un paio di amplificatori e un impianto-voci. Si offrì di metterli a loro disposizione e infatti le prove per un paio di mesi si svolsero proprio lì, in una delle stanze del neo-parroco. Gli abitanti della ridente cittadina furono tanto entusiasti che suggerirono al parroco di invitare i musicisti a trasferirsi in una location più adatta al loro estro artistico, ma soprattutto al livello dei decibel che uscivano dalle finestre della canonica.
Nel comunicare la necessità di tornare al loro paese d’origine, Don Erminio propose ai ragazzi del gruppo di acquistare le apparecchiature che avevano utilizzato. Ora, chiamare amplificatori e impianto-voci quei residuati degli anni ‘50 richiedeva tutta la fantasia e l’entusiasmo di quei sedicenni e il sant’uomo, che li conosceva bene, non vedeva l’ora di disfarsene e ricavare qualche soldo. Concluso l’accordo di un acquisto rateale, non rimaneva che il trascurabile problema di procurarsi i soldi per pagare le rate.
Furono considerate tutte le ipotesi, anche le più fantasiose, ma alla fine la maggioranza decise per la raccolta della carta, che a quei tempi rendeva abbastanza bene.
La Storia dovrà tacere sulle scadenze  e sui frazionamenti delle rate, ma dovrà prendere atto che i nostri eroi riuscirono a pagare quegli strumenti. Per essere precisi questo avvenne poco prima della loro ingloriosa fine, tra valvole bruciate, potenziometri arrugginiti e cadute rovinose durante i trasporti.

CAP. 2
Venne l’ora fatidica del primo ingaggio: un bar di Villanuova gli chiese di esibirsi sulla terrazza del bar che dava direttamente sulla strada, allora statale. L’emozione era alle stelle, quanto le ansie per il repertorio ancora limitato a sei canzoni.
Il primo problema era il trasporto degli amplificatori, abbastanza ingombranti e pesanti.
I gruppi musicali seri e importanti, rock o di liscio che fossero, parliamo del 1970, avevano un furgone Volswagen o un Ford transit, un mito per noi. Loro si sarebberoo accontentati anche di un vecchio Alfa Romeo o di un qualsiasi altro mezzo di trasporto coperto.
Due ostacoli insormontabili si paravano, tuttavia, davanti : la mancanza di mezzi economici e l’età. Nessuno di loro, infatti, aveva ancora compiuto i diciotto anni necessari per la patente di guida.
Come arrivare a Villanuova con la seppur ridotta dotazione?
Non so a chi venne l’idea. Passavano spesso dall’incrocio tra via Quarena e via Sormani, perché nello scantinato di una della case popolari situate in quest’ultima, avevano ricavato una specie di taverna dove organizzavano festicciole sulle quali avrei molto da dire. Su quell’incrocio, addossato alla fontanella pubblica, c’era un chiosco, dove il vecchio Ciücì, nella bella stagione, vendeva angurie e bibite, ma all'occorrenza faceva comparire da sotto il banco una bottiglia di vino o di grappa. Dal lato opposto a quello della fontana era parcheggiata l’Ape che il vecchio usava per i rifornimenti. Decisero, dunque di chiedere al figlio del Ciücì, dietro adeguato compenso, il noleggio del potente(?!?) treruote. Il ragazzo avrebbe fatto ad autista.
I signori del Club dei Bigetti videro arrivare davanti al loro bar, nel pomeriggio di quel giorno d’estate, un’ Ape, carica di strumenti e con al seguito ciclomotori e scooter,  pavoneggiarsi come una regina d’insetti con fuchi al seguito.

CAP. 3
E venne il tempo delle vacanze: tutti al mare al mostrar le chiappe chiare!
Dopo un anno e mezzo la motorizzazione del gruppo aveva visto notevoli progressi. La maggior parte dei ragazzi aveva conseguito la patente di guida e se l’auto restava un miraggio ci si era dotati di motociclette e scooter a due posti, non di prima vernice, naturalmente! Il parco motoristico era composto da due Lambrette, una modello 1953, e una del ’55, entrambe a tre marce e una moto Morini 150 con manubrio a bracci lunghi, tipo Easy Rider, un vero gioiello.
Con tali mezzi si dovevano percorrere i circa 300 km che separavano il paese natio dalla mitica Rimini. Due per ogni moto con bagagli, pinne, materassini e una tenda a casetta da smembrare, suddividendo il carico di teli e picchetti. Non mancava una chitarra, la più scassata in dotazione, tale da poter subire eventuali cadute e traumi senza ingenerare le isteriche reazioni del chitarrista.
Partenza di notte, con tanta adrenalina nel sangue da aver l’impressione di salire su un biplano in decollo, non su un catorcio a due ruote.
Tempo splendido, notte di stelle con una leggera brezza di monte  alla partenza.
Viaaaa! Sulle strade diritte o tortuose, strette o larghe, asfaltate di fresco o piene di buche, tra frutteti, campi di grano e di ortaggi, canali di irrigazione e fossi maleodoranti, grandi covoni di fieno o enormi mucchi di letame.
Viaaaa! Attraverso città sonnacchiose con le narici piene degli odori di asfalto, di scarichi di motori, aromi di cibo e birra fuggiti dalle porte aperte dei locali insonni, tra palazzi e chiese, condomini grigi e distributori di benzina, semafori lampeggianti e rare insegne luminose colorate, e poi paesi piccoli e grandi, case con le finestre aperte per l’afa, che lasciavano intravedere abitanti in abiti succinti e perfino una coppia che faceva l’amore.

CAP. 4
Ho scritto una canzone trent’anni dopo:
Come la strada tra qui e Rimini
Odore di canali e d’asfalto
Strade neglette di notte
Mentre il motore non fa che cantare
Una nota sola in armonia
Con i pensieri che corron verso il mare
E’ già sale il sapore del vento
Come la strada tra qui e Rimini
Quei due alla finestra cosa fanno
Credevano d’essere soli
Mentre noi sotto a bere qualcosa
Se si sono accorti di noi
Se han spento la luce che male c’è
È già sale il sapore
L’aria che sferza il viso le mani
frizzante pungente agita parole
Preannuncia quel sole che sorge dal mare
Arrivare forse non è importante
Perché la mente è già in corsa
Come la strada tra qui e Rimini
Luci di bar sudore e tabacco
Odor di frenate sesso in offerta
Premi piano, sì lo so non forzare
Chè ti fa gola annusar le avventure
Ma c’è altro che ci aspetta là
Ed è già sale il sapore del vento
Arrivare forse non è importante
Perchè la mente è già in corsa
Tra Rimini e qui

Infine siamo arrivati, a Rimini. Era Agosto e trovare un posto in campeggio non fu impresa semplice. Provammo a trovare ospitalità in tutte le strutture della famosa cittadina della movida adriatica. Trovammo posto, in extremis, in un campeggio male attrezzato al limite sud di Miramare, poco distante dal confine con Riccione. Cosa ci aspettava là? Una vita sregolata senza orari e senza limiti, tranne quelli dettati dalla condivisione e dalle scarse risorse finanziarie. Conoscendo le nostre abitudini, che l’anno prima, nella spedizione in Provenza,  ci avevano quasi portato alla fame per esaurimento pecunia, accantonammo subito i soldi sufficienti a fare il pieno per il ritorno.
Fu subito festa, ma verso la fine della settimana, quando le finanze cominciavano già a segnare la riserva, a qualcuno venne la brillante idea di lanciare una sfida a pocker. I quattro giocatori rimasero la notte intera e il giorno seguente sotto un sole implacabile a confrontare full, scale e pocker sotto la tenda. Alla fine il vincitore, dopo aver svuotato le tasche agli altri, annunciò di prendersi una pausa e di andare a trovare un’amica a Cattolica.
Tornò dopo due giorni, con l’aria soddisfatta e appagata, mostrando orgoglioso il polso adornato da un orologio nuovo di zecca. Aveva investito gran parte dei soldi vinti nell’acquisto di un dorato Omega che si rivelò, naturalmente, un tarocco, ‘na sola, direbbero i romani.
Non fu acclamato. I rimbrotti durarono, anzi, per parecchio tempo anche dopo il ritorno.

CAP.5
Sempre a proposito di trasporti.
Eravamo in pochi ad avere un motorino e le multe per il trasporto di un secondo passeggero ci avevano dissuaso dal trasportare gli appiedati.
Fu per questo che quando fummo ingaggiati dalla balera/discoteca “Alla Pesa” di Polpenazze il gestore si assunse l’onere di trasportare alcuni di noi oltre agli strumenti.
Il viaggio di andata era tranquillo. Il ritorno era un po’ ansiogeno.
Arturo, che Dio l’abbia in gloria, soffriva la sete in modo organico. Per questo, prima di mezzogiorno calmava l’arsura con una decina di Aperitivi, discendendo poi verso sera con una serie di terapeutiche bevute di vari liquidi alcolici.
Quando verso la mezzanotte si trattava di trasportare musici e strumenti, il volenteroso aveva ormai raggiunto un tasso etilico nel sangue pari a quello dei globuli rossi, bianchi, piastrine e plasma compreso. A vederlo così, cimbo, col passo un po’ incerto e gli occhi placidi, quelli destinati a salire sulla sua 1100 famigliare andarono un po’ in ansia. Il culmine fu raggiunto una sera di tardo novembre, quando, inaspettatamente, sulla Valtenesi calò una fitta nebbia. I tre musici destinati si avviarono dietro l’autista dondolante verso la macchina, con un peso sul cuore. Egli li rassicurò di aver guidato in ben altre  condizioni di visibilità e appena avviata la vettura, abbassò il finestrino e si sporse con la testa e un braccio, manovrando volante e leva del cambio con l’altro arto. Per fortuna il viaggio si concluse senza danni e arrivarono alle Fornaci, dove era la nostra stanza per le prove. Eccezion fatta, forse, per qualche movimento intestinale.



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